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Altri edifici

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PALAZZO PALLAVICINI

A chiusura del fianco sinistro della piazza, il Palazzo Pallavicini risale al 1780.
Con i suoi quattro piani (l’ultimo ammezzato sottotetto, compreso nel forte cornicione), fu costruito sopra le strutture incompiute di quello che doveva essere il terzo Ospizio. Nato come palazzo privato, rustico all’esterno, il prospetto ritmato al piano nobile dalle allungate finestre (lì visse il pittore Eso Peluzzi negli anni dal 1919 al 1948). Fu suddiviso, nel tempo, in appartamenti con l’ingresso spostato sulla strada aperta, in salita, verso Cimavalle.

L’OSPIZIO DE' POVERI: OGGI R.S.A."SANTUARIO"

Sul lato destro della piazza è il lungo fronte dell’Ospizio Nuovo, il grande palazzo tardo-cinquecentesco. Il primo progetto, forse, dell’ingegner Giovanni Ponzello di Oneglia; decisivo l’intervento dell’architetto gesuita Padre Orazio Grassi, savonese, nel 1616 e nel 1636 subentrano tre architetti genovesi: Pier Francesco Cantoni, Sebastiano Ponzello, Gio Pietro Nove.

Dal 1642 ha subito modifiche, non nelle linee essenziali, divisioni, aggiunte nel corpo allungato perpendicolare a quello prospiciente la piazza. E nel primo 700, si sopraeleva di un piano, oltre l’aggettante cornicione classico a mensole binate, ribassato, con le finestre quadrate in linea con le slanciate , allungate del piano nobile. Nella seconda metà dell’800 sono effettuate modifiche interne e la sopraelevazione al fronte affacciato sul torrente, altre, ancora, nel 1848.

Tutta la pianta del complesso monumentale si sviluppa con una planimetria “ a T”, simmetricamente rispetto all’asse longitudinale. Il prospetto sulla piazza rimasto rustico, senza intonaci, nel fascinoso tono ambrato delle pietre e dei mattoni, è scandito orizzontalmente dalla cornice segna piano e in verticale dalle sottili lesene tuscaniche e dalle dieci finestre del pianterreno e del primo piano. L’ingresso, al centro, è vegliato dalle statue di due illustri benefattori: Giuseppe Montesisto (1770) e Maria Maddalena Durazzo (1782), opere del genovese Pasquale Bocciardo, in conclamato tardo-barocco.

Le dieci arcate a tutto sesto, a piano terreno, del porticato del progetto iniziale, utile e importante quale ricovero dei pellegrini, furono ben presto tamponate ricavandone vani (tuttora sono ben leggibili).

E dal giugno 2007, dopo quattro anni di rilevanti interventi, l’antico Ospizio ha ripreso il suo secolare compito di assistenza e accoglienza, arricchito dei più moderni ritrovati tecnici e tecnologici, per una fruizione in classica serena compostezza, nel rispetto della severa architettura seicentesca e ottocentesca.

PALAZZO DEI CAPPELLANI

Sulla via antica di Monteprato, in salita (la mulattiera che arrivava al Nemus di Savona), fu costruito quale abitazione dei Cappellani della Basilica, nel 1564 – 1569. Pochi anni fa era ancora leggibile al piano ribassato sottotetto, tra le quadrate finestrelle, la delicata fascia dipinta a mensole binate tra racemi classici protetta dall’aggettante cornicione. Sui due prospetti, le partiture architettoniche, le riquadrature e i timpani triangolari alle finestre , “a buon fresco” nei toni terrosi degli ocra e dei bruni. (tale decorazione si fa risalire all’anno 1700, in contemporaneità con l’intervento al palazzetto Tursi).

PALAZZETTO TURSI O DEL DUCA

CON LA MERIDIANA SETTENCESCA

Sulla piazza, a destra, sono tornati a nuova vita, dopo gli interventi del 2006-2008 terminati nel 2009, i due corpi sfalsati, risalenti alla metà del ‘500 raccordanti l’Ospizio e la Chiesa.

Sono stati oggetto dell’ultimo intervento terminato nel 2009, all’interno di un orgoglioso progetto di rivalutazione e valorizzazione del “Complesso del Santuario”.

Qui è stata la prima, più antica sacrestia fino al 1633, quando fu costruita la seconda (e attuale). Il primo piano nel 1636 fu concesso a Carlo Doria – Del Carretto, duca di Tursi, poi fu abitazione del Rettore della Basilica, nell’anno 1700 fu sopraelevato, così com’è oggi. E’ stato sede del Museo del Tesoro, ordinato nel 1959, rivisto in toto nel 1988, oggetto di sostanziali modifiche e innovazioni. E’ stato riaperto nel luglio 2009, sotto il nuovo titolo”Museo del Santuario” unendolo con la Sala che ospita il lascito di Eso Peluzzi, la quadreria, donazione del 1969.

Il restauro della facciata del palazzetto Tursi, per la nuova fruizione, si è compiuto in armoniosa continuità con quella dell’allungata facciata del corpo di raccordo con l’Ospizio, a due piani, felicemente concluso, oltre l’importante cornicione terminale, con la breve sopraelevazione e col fastigio barocco dell’Orologio, vivo tra i suoi nastri e riccioli trompe – l’oeil. Segnato in orizzontale dal terrazzo del primo piano, accesi i toni delle ricostruite partiture architettoniche decorative, frutto di sapienti ricerche storiche e di una scrupolosa indagine stratigrafica di più di una stesura (la prima risale al 1700, di cui si sono trovate tracce).

Più spenti i toni dell’ocra delle terre e della gamma dei bruni rispettosi delle tracce riaffiorate delle superfici, delle sinopie, dei decori della facciata, del raccordo con l’Ospizio, tagliata orizzontalmente dalla cornice marcapiano e dal marca davanzale. E, tra le due finestre del primo piano del palazzetto, è tornata a nuova vita l’antica meridiana settecentesca. Compiuti gli studi gnomonici oggi segna l’ora vera solare locale, dalle sei alle sedici, allietata dalla presenza di due putti tra le linee orarie del pomeriggio (da un prezioso spolvero di Lazzaro De Maestri).

LE ALTRE DUE MERIDIANE

Sulla piazza funziona un’altra meridiana: sul lato verso il torrente Letimbro del palazzo dell’Ospizio; già presente così com’è, in barocco cartiglio amaranto nel 1600; la vide Bartolomeo Guidobono nel 1680 e la eternò nell’affresco della cupoletta della Crocetta. E’ stata rivitalizzata nel 1986, così com’era, con le linee orare dalle 6 alle 15.

Nel 1992, l’artista Pietro Gatti, ha ideato ex-novo la meridiana andata perduta della facciata dell’Asilo Infantile “Carlevarini” a San Bernardo: con i segni zodiacali, la lemniscata (l’equazione del tempo) segna l’ora vera locale dalle VII alle XVII e reca il motto: “U su u turna u tempu nu”, “Il sole torna il tempo no”.

LA LOCANDA

Eretta nel 1543 per ospitare i pellegrini è l’antica “Hostaria” segnata nella mappa di Matteo Vinzoni nel 1773, nella sua ancora attuale pianta perfettamente quadrata, che si ritrova anche nella mappa di Vincenzo Chiodo del 1788.
Ben visibile anche nella carta delle “masserie proprie” dell’Archivio delle Opere Sociali di N. S. di Misericordia, risalenti agli inizi del XIX secolo. Oggi offre ospitalità a pellegrini e turisti.

LA FILANDA

A chiudere la Piazza, defilata, sul lato opposto alla Basilica, la Filanda della metà dell’’800, è oggi trasformata in appartamenti. Costruita in proprio dai fratelli Campanella, autorizzati dall’Opera Pia, proprietaria del sito, era una fabbrica per tessere e confezionare coperte di lana e i berretti bianchi e rossi, i famosi “Gazzi” messi ad asciugare al sole lungo il greto del Letimbro.Sfruttava come forza motrice l’acqua del torrente, più tardi impiegando l’energia elettrica. A metà degli anno Venti, l’attività cessa e, per le celebrazioni del 1936, il salone al piano della Piazza divenne “ritrovo dei pellegrini”. Durante la guerra ospitò soldati italiani e tedeschi. Fu anche teatro della Filodrammatica dell’Unione Sportiva. A livello del torrente, funzionò fino agli anni Cinquanta del Novecento, la lavanderia dell’Ospizio. Nel 1991 iniziò la rinascita per l’utilizzazione degli spazi sui tre piani con le variazioni resesi necessarie a seguito della disastrosa alluvione del settembre 1992.

LA DOMUNCULA

Inglobata al piano terreno dell’antica Villa Innicen, di fronte al cimitero, nel 1988 – 1989 è stata risistemata decorosamente e resa visitabile (a richiesta) la “Casula” dove morì nel 1550 Antonio Botta. Nel 1536 era una piccola casetta isolata nel verde, nel 1784 i ”Governanti” la riscattarono dai privati e la inclusero nel patrimonio mariano.

Oggi è di proprietà della Parrocchia di San Bernardo in Valle ed è visitabile su richiesta telefonando al n. .

All’interno la stanza conserva il prezioso tondo in pietra nera (diametro 40 cm) dell’effige della Madonna, forse del primo ‘600, in ieratica posizione frontale, nel gesto di materna misericordia.

Flavia Folco